Parole chiave: PASSIONE, MEL GIBSON
LA PASSIONE DI CRISTO,
TRA MEL GIBSON E LE ORIGINI CATACOMBALI
Il tanto discusso film
di Mel Gibson " The Passion of the Christ" arrivato nelle sale cinematografiche
il 7 aprile, é apparso a molti il racconto 'brutale' delle estreme sofferenze
di Cristo, quelle che i Vangeli descrivono con parole rapide, precise,
essenziali. E' un film che certamente farà riflettere, ma che ha lasciato
perplesso chi invece avrebbe preferito vedere maggiormente espresso il valore
redentivo dell'amore che ne costituisce il significato di tanto dolore,
quell'amore per l'uomo - dolore e povertà e morte - che Cristo ha fatto suo, ma
che ha vinto, risorgendo dalla morte.
L'opera cinematografica giudicata di altissimo livello artistico, é certamente
in sintonia con la preferenza dell'uomo contemporaneo verso ciò che si rende
visibile. Nonostante le recenti
meditazioni sulla Sindone, l'immagine dei nostri Crocifissi resta ancora, spesso, uno stereotipo troppo
edulcorato, che non porta la gente alla consapevolezza reale del dolore sofferto da Cristo a causa
del peccato e non suscita il sentimento e l'emozione dell'esperienza religiosa.
Gibson
permeato di questa sensibilità, peraltro da credente, ha scelto di parlare solo
della passione di Gesù e raccontarla nella sua realtà totale, quella in cui ha
trovato soluzione una sua profonda crisi esistenziale.
L'intento
del regista rispecchia un gusto che é totalmente diverso da quello che muoveva
la creazione artistica dei primi secoli cristiani. Erano quelli tempi in cui il
supplizio della crocifissione - pena inflitta con frequenza dai romani agli schiavi ribelli - era cosa
ben nota! I primi cristiani preferivano gridare il gioioso annuncio - che resta
fondamentale del Cristianesimo sempre - il Kerigma, la grande speranza:
"Cristo é morto, ma é risorto e vive per sempre, come lui é risorto anche noi
risorgeremo". "Cristo é risorto
primizia di coloro che sono morti" scriveva Paolo verso il 57 (1 Cor 15,14)
Per quattro secoli l'arte catacombale non
presenta la scena della Crocifissione se non con l'uso del simbolo allusivo; il
Cristo crocifisso "scandalo per i giudei stoltezza per i pagani" (I Cor.
1,23) viene espresso con la figura del Pastore che ama e sacrifica la vita per
il suo gregge, con l'ancora che include la Croce speranza di vita, con
l'Agnello immolato, ma vivo (Ap.6).
Finché, quando nel sec.V Teodosio il Grande
abolisce definitivamente l'orrenda pena capitale, i simboli scompaiono per
lasciare il posto alle prime raffigurazioni del Crocifisso. Ma anche nelle
prime opere, Cristo é raffigurato crocifisso, ma vivo e vincitore sulla morte:
egli é ucciso, ma é Risorto(Porta S.Sabina a Roma)
L'opera che presentiamo é un documento mirabile del sec. IV e si trova al Museo Laterano, é un SARCOFAGO DI PASSIONE. Le scene, suddivise secondo il modulo classico da
colonnine in stile composito, sono organizzate intorno alla scena centrale. A
destra appare Gesù davanti a Pilato, a
sinistra, la coronazione non di spine ma di alloro, accanto il Cireneo con la
croce. La scena centrale sintetizza in modo mirabile il passaggio di Gesù dalla
crocifissione alla risurrezione: al centro una croce nuda sormontata da una
corona d'alloro simbolo di vittoria, in essa é inscritto il monogramma di
Cristo, il simbolo vittorioso del labaro costantiniano. Due colombe appoggiate
alla croce si cibano alla corona, sono le anime beate che vivono nel Cristo risorto; al di sotto,
ai lati della croce stanno due guardie, una addormentata l'altra sveglia, nella
posa in cui si rappresentavano i barbari sconfitti. Invece del del corpo risorto c'é la corona della vittoria.
Risurrezione - Avorio del V sec.- The British Museum - Londra
Infatti la tarda
antichità attenta a non oltrepassare i limiti della narrazione evangelica, non
raffigurò la risurrezione del corpo di Cristo, secondo le forme dell'arte del secondo millennio, ma
rappresentò l'essenziale testimonianza delle Marie al sepolcro vuoto, cio é il dato constatabile dell'esperienza
storico-scientifica narrata dai Vangeli.
"Anche
per Gibson - scrive V.Messori nel Corriere della Sera del 17.2.04 - "due minuti
bastano per ricordare che quel martirio non fu l'ultima parola Gibson l'ha
risolto accogliendo una particolare lettura del Vangelo di Giovanni: uno
'svuotamento' del lenzuolo funerario, un segno sufficiente per 'vedere e
credere' che il suppliziato ha realmente trionfato sulla morte".
Mirella
Lovisolo CORRIERE
DI SALUZZO 9 aprile 2004