L’OLTRETOMBA NELL’ARTE DEI
BIAZACI
Sin
dalle catacombe e nel primo medioevo l’arte ha espresso con la
simbologia, la realtà dell’oltretomba che noi celebriamo con le
feste dei Santi e dei Defunti a novembre. Ma occorre arrivare alla
pienezza del Medioevo per trovare le opere più interessanti, tra
queste i dipinti in Liguria dei Fratelli Biazaci di Busca del 1400.
La gita organizzata
dall’Associazione La Madunina in collaborazione con InformaCristo
il 7 ottobre è stata un’occasione propizia per conoscere queste
opere e questi temi. Ad Albenga e Montegrazie le opere più notevoli
di questi pittori rendono
visibili simbolicamente i temi
sull’Aldilà, quella realtà negata da molti, ma che tuttavia
costituisce l’interrogativo più pregnante e insieme angosciante
per la maggior parte dell’umanità dal momento della morte tocca
tutti e così il pensiero del dopo è ricorrente e inquietante: “E
se quell’altra vita di cui mi hanno parlato da ragazzo …e se ci
fosse quell’altra vita?”
Le celebrazioni dei santi e dei cari che ci hanno preceduti
ripropongono anche a coloro che si definiscono agnostici o atei
l’interrogativo che tormentava l’Innominato di Manzoni, un
pensiero scomodo, ma il più sensato: la morte infatti è l’unica
certezza per l’uomo e la gioia della vita eterna, per chi ha
saputo amare, è il più bell’annuncio che ci ha fatto Gesù. Il
convento di San
Bernardino ad
Albenga è un edificio trasformato in caserma e in carcere nel 1800
con interventi distruttivi poi rimediati in parte dal parroco don
Luigi Fusta di Busca, nel 1964. Di quegli eventi resta traccia nel
deperimento della parte inferiore degli affreschi datati 3 giugno
1483, ma resta bellissima e godibile la fascia superiore del Paradiso
opera del migliore dei due fratelli Tommaso. In quest’opera il
linguaggio figurativo è ovviamente quello medioevale ispirato al
Vangelo di Mt. 25 e agli scrittori del tempo, primo fra tutti Dante
Alighieri, Bonvesin della Riva, Jacopo da Varazze. Nel Paradiso il
racconto inizia con la bella figura dell’arcangelo Michele
soprintendente delle milizie angeliche fedeli a Dio che, nelle
vesti di “psicopompo” (dal greco: guida delle anime dei defunti)
ha la funzione di decidere la salvezza o la condanna delle anime.
Egli ne è anche pesatore secondo la tradizione egizia. Ha in mano
la bilancia - che decide del defunto - con le lettere b(bene) e m
(male); dopo la pesatura i giusti sono attesi dall’angelo per il
Paradiso i dannati invece, su una carriola condotta da un demone nero
e cornuto, sono rovesciati attraverso una buca nel sottostante
inferno. Al disopra della buca infernale il Limbo per i bimbi non
battezzati, una tradizione che risale al primo medioevo, ma molto
discutibile; è priva delle radici evangeliche della misericordia
di Gesù: “Dio è
amore e vuole tutti salvati (1Tm.2,1-4),
Cristo è morto
anche per loro”.
Benedetto XVI il 2 aprile 2007 affermò che ”il concetto di Limbo
per i bambini riflette una visione eccessivamente restrittiva della
salvezza”. I non battezzati incontreranno Gesù e di fronte a lui
faranno la loro scelta di salvezza. Nel Catechismo della chiesa
cattolica la teoria del Limbo, infatti, non viene menzionata!
Ad
Albenga al centro del registro paradisiaco della Gerusalemme celeste
si trova il Cristo Pantocratore (Dio creatore di tutto) seduto in
mandorla iridata (la luce del Divino è bianca, ma attraverso
l’atmosfera terrestre si fraziona nei vari colori) sotto al Cristo
i santi innocenti e poi Maria e Giovanni Battista. Accanto, ritti
vicino a Gesù le file dei beati, i religiosi e gli eletti laici. Una
raffigurazione anch’essa simbolica: i salvati vivono nell’amore
di Cristo, non statici ma, analogicamente in movimento come nella
vita . Non vi è annullamento della vita terrena, tranne la materia,
anche i legami affettivi restano immutati. Quindi in Paradiso non
c’è eterna noiosa staticità, c’è vita come quella terrena, ma
piena di gioia e di amore
Una
parte meravigliosa di questo dipinto è il Purgatorio rappresentato
secondo le concezioni medioevali come una landa infuocata dove le
anime purganti, in atteggiamento sereno (di chi sa di essere salvo),
restano in attesa delle preghiere e delle Messe dei vivi per i quali
anch’essi pregano. Ma cos’è questo fuoco del purgatorio? Un
fuoco metafisico simile a quel tormento terribile che sperimentiamo
nella vita quando l’assenza di amore produce un male irrimediabile,
così le anime in purgatorio soffrono per non aver amato Dio nella
ricerca di se stessi. I Biazaci li rappresentano accompagnati da
angeli biancovestiti che portano la pisside con l’Eucaristia. I
purificati sono condotti attraverso la scala dei comandamenti alla
porta del Paradiso dove San Pietro li accoglie per introdurle nella
Gerusalemme celeste. Nel registro sottostante si aprono i sepolcri
infernali, in ognuno di essi è punito il dannato con torture
indicibili commentate dai cartigli. Queste torture erano ben note
alla gente che le vedeva praticate sui condannati. I pittori usano
queste immagini richiamandosi alla parola di Gesù Mt.25,31-46 “
lontano da me
maledetti nel fuoco eterno perché…”
un linguaggio simbolico che anche Gesù stesso usa per coloro che non
hanno amato. Nell’eternità non vi sarà la materia, il tormento
del dannato che ha scelto il male e ha rifiutato Dio, sarà come
fuoco il dolore infinito della privazione di quel Bene che è amore e
felicità; non è l’annientamento per sempre come taluni pensano,
ma un fuoco spirituale divorante che esclude anche il pentimento:
non è Dio che castiga, ma l’uomo che, liberamente sceglie il “no”
a Dio sulla terra e nell’eternità, una scelta che è sofferenza
eterna inestinguibile.
Se
ad Albenga molto visibile è il Paradiso, a Montegrazie meglio
visibile su una parete meno danneggiata, è l’inferno diviso in
registri sovrapposti. In basso il discorso molto pregnante della
buona e cattiva morte, la cavalcata dei Vizi e l’immagine delle
Virtù. La sequenza infernale si apre con una scena molto
esplicativa: la scelta proposta all’uomo che, in procinto di essere
ucciso dalla freccia della morte, viene conteso tra il diavolo e
l’angelo. Una scena che evidenzia come i Biazaci non sono solo
pittori popolareschi, ma artisti capaci di gestire iconografie
complesse e didatticamente efficaci. La scena dell’Uomo di fronte
alla morte è attraversata dall’ammonizione dell’angelo che lo
induce alla scelta del bene, un cartiglio che dice: “Fai
il bene finchè vivi se dopo morte vivere vuoi”.
Un
ammonimento che, come quello di Marmora, è tipico dell’arte dei
Biazaci : utile per la gente del tempo, ma certamente utile anche per
noi.
MirellaL.
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