LE IMMAGINI DELLA SPERANZA
I
fatti dell'evento pasquale, sono stati raffigurati in opere d'arte
indimenticabili in ogni epoca storica. Secondo san Cirillo di Gerusalemme (348
d.C.), l'evento-segno per antonomasia è la morte in croce del Salvatore, in cui
tutti gli altri sono riassunti.
Il
segno cruciforme, tuttavia, non ebbe origine col cristianesimo, ma è
preesistente ad esso e si trova in altre culture con significato diverso. In
Egitto, ad esempio, la croce ansata era augurio di vita e la troviamo in
mano ai faraoni, in India, 3500 anni fa, era diffuso il segno della croce uncinata, la svastica, con
significati diversi: segno del sole o dell'ira funesta, a seconda della
posizione degli uncini, si diffuse anche nelle civiltà precolombiane. Nel mondo
ebraico la tau, ultima lettera dell'alfabeto detta poi croce taumata, ha significato sacro, era il segno di Dio
(Ez.9,4-6). La tau si è trovata a Gerusalemme su tombe ebraiche e
anche su tombe cristiane insieme al monogramma cristologico, la X incrociata
con la P di CRISTOS (Cristo in greco).
Il simbolo della croce, per il fatto d'essere
segno del martirio di Cristo, venne quindi assunto dai cristiani che iniziarono
subito ad inserirlo nelle epigrafi catacombali. Invece la raffigurazione della
Crocifissione (e anche della Risurrezione) compare solo dopo il IV secolo.
Intanto perché la primissima arte cristiana, che era simbolica e aniconica
(senza immagini), non considerava la morte di Gesù come un fatto isolato, la
morte di Gesù era per i primi cristiani un tutt'uno con la Pasqua: Cristo è
morto ed è risorto (ciò che è il senso teologicamente più vero e attuale oggi).
Non ci sono segni di tristezza e di morte nelle epigrafi catacombali, tutto
parla della vita e
della speranza della Risurrezione. La croce, o il
segno nell'ancora cruciforme, veniva
inserita nelle epigrafi (es. l'epigrafe di Bictoria, della catacomba
di Domitilla del sec III) vicino alle invocazioni, come segno di speranza.
Diceva Giustino nel sec.II: "La speranza dei cristiani è appesa alla croce
di Cristo crocifisso"
Altri
motivi giustificano l'assenza di questa raffigurazione: l'orrore che tale pena,
ancora in vigore, suscitava e la derisione di cui il Crocifisso "scandalo
per i giudei stoltezza per i pagani" (I Cor. 1,24) era fatto oggetto dai
pagani, come vediamo in un graffito sul Palatino che raffigura
l'adorazione di un asino crocifisso, allusivo al Dio dei cristiani. La
crocifissione di Cristo quindi venne raffigurata solo dopo il sec. IV quando Teodosio abolì la pena della
crocifissione e quando le definizioni conciliari sulla figura di Cristo, resero
lecita l'immagine di Gesù. La prima immagine è quella della porta lignea di
Santa Sabina dell'inizio del sec. V . Qui il Cristo ha i chiodi nelle mani, le braccia sono
morbidamente allargate nell'atteggiamento dell'"orante", gli occhi sono aperti;
Egli è vivente, la croce è più
suggerita che rappresentata. E' l'iconografia del Cristo che, percorso il cammino
della croce, risorge e trionfa sulla morte, riaffermando il concetto
della croce-speranza di vita.
Troviamo
la stessa iconografia nella scatoletta in avorio del Britisch
Museum del
sec V, dove per la prima volta appare anche la raffigurazione della
risurrezione di Gesù, com'è stato visto dalle donne e dagli apostoli. Questa
raffigurazione del Cristo vivente sulla croce doveva anche essere una riposta
alle eresie insorgenti che mettevano in dubbio da una parte l'incarnazione del
Verbo, dall'altra la divinità di Gesù. Col Concilio di Efeso (431) e
l'affermazione della fede in Gesù uomo e figlio di Dio, apparvero queste
crocifissioni che confermavano l'affermazione: Cristo muore come uomo, ma è
vivente come Dio.
Il tipo iconografico del Cristo "vittorioso sulla
morte", arriverà sino al sec XI-XII quando, sotto la spinta di nuovi movimenti
spirituali che esaltano il dolore di
Cristo, il crocifisso diventa "patiens". La sofferenza di Cristo,
meditata dalla sensibilità francescana, è rappresentata nel Crocifisso
sofferente una tendenza iconografica che raggiungerà l'apice nell'ambito della
Riforma protestante, per la quale il dolore e la morte di Cristo è l'unica
salvezza, concezioni che approderanno alle sconvolgenti e crude
crocifissioni di Grunewald, del sec. XVI.
Nei secoli successivi gli affreschi narrano
la Passione di Gesù e si concludono con il Compianto sul Cristo morto, come nel
ciclo giottesco della Cappella degli Scrovegni a Padova del 1303-1305. E
appare anche l'iconografia del Cristo in pietà, dove Gesù davanti al
sepolcro, è accanto a Maria e Giovanni. Ne troviamo un esempio di grande
bellezza nell'arco trionfale della Cappella di Santo Stefano a Busca (sec
XV), dove il Cristo si offre mite e dolcissimo alla
compassione dei fedeli tra Maria e Giovanni piangenti, in un dolore contenuto, tenero e accorato. Un'immagine che rimanda alla dolente espressione di Lam. 1,12: "Voi che passate, considerate e osservate se c'è un dolore simile al
mio"
Nell'arte
del '900 troviamo lo stesso accorato appello nei volti di Cristo di Rouault.
Di questo pittore, cantore della fede nel Cristo appassionato, "luce del
mondo", disse Raissa Maritain: "E' uno dei più grandi pittori di tutti i
tempi". Quella di Rouault è un'arte che
traduce, in linguaggio moderno e universale, la profondità spirituale medievale.
Le sue "Passioni" sono rese talvolta con un colore scuro contrastante
spento, a volte con un cromatismo
squillante reso espressivo dai contorni, fortemente segnati, che introducono
una visione dolorosa e drammatica, ma che rivelano la luminosità interna della
gloria che emana dal Cristo. Nel Cristo (Passione) del 1937 (Museum of Art
di Cleveland) Rouault, presenta un Gesù dal volto allungato, minuto e
umanissimo, dove i grandi occhi dallo sguardo struggente hanno la forza
penetrante del dolore e dell'amore e sono colmi di compassione e di perdono.
Quella del Cristo di Rouault è l'espressione della sofferenza trasfigurata
dall'amore vittorioso.
Un Volto di incomparabile bellezza nel quale è possibile
leggere la parola definitiva: la sofferenza e la morte sono sconfitte
dall'amore.
MIRELLA LOVISOLO